Il mio Do, Il cammino.
In una Milano senza riscatto, nei quartieri operai dove il cemento della strada è l’unico orizzonte, il protagonista incontra la fascinazione del Maestro e si arrende a trovare la via del riscatto. Un romanzo di formazione per chi si sta cercando.
Istruzioni per la lettura.
Non crediate di capire subito cosa intendo. Non pensiate di intuire all’istante, il modo per poter interpretare i miei voli pindarici, il funambolesco viaggiare sulle righe. Potrebbe sembrare uno scimmiottamento a qualche bravo autore Italiano tipo Baricco: ho iniziato molto prima che uscissero i suoi primi libri, cioè scrivevo male allora, peggio oggi. Ma in una cosa posso però aiutarvi: non essendo uno scrittore, un autore, né tanto meno un bravo espositore di pensieri, bensì un attore, vi consiglio semplicemente di vivere le parole. Così come le vivo io sporcando semplicemente il foglio.
Istruzioni per conoscere un poco di più Vitale.
Carlo Vitale, del 66, in arte Victor Carlo Vitale. Nasce a Napoli da padre nato a Venezia o forse su un treno tra Venezia e Bari e da madre napoletana. Ha all’attivo, una sessantina di ruoli interpretati, circa dodici trasferimenti, una decina di lavori diversi (dall’operaio, al militare di carriera), nove residenze, una cinquantina di spettacoli fatti da attore, undici case abitate, circa venti regie, e non ha mai avuto il senso del possesso, strano.
Prefazione, Elena Casaccia
Entrando davvero dentro il Judo e la sua filosofia si apprende una dimensione valoriale altra, e alta, un approdo sicuro dalle tempeste della vita, adolescenza o no. Leggiamo nelle prime pagine: “Le cadute si ricevono, non si subiscono. Se le ricevi, rialzandoti, non provi alcun dolore, nessun risentimento, nemmeno il senso di sconfitta”.
Parole che sono un’esca, che educano, (lat. e-ducĕre) nel senso più profondo del termine, portano fuori il meglio dalla persona. Spingono ad aprirsi e accogliere la forza di chi ci schiaccia, le gocce d’acqua taglienti, il vento forte, il sole rovente, la vita. Ricevere le cadute. Parole che curano.
“Il mio Do” ci fa pensare ai nostri ragazzi, figli di questa civiltà fragile, liquida, iper-connessa e sola, tanti cavalieri ariosteschi protetti dall’armatura ma fantasmi senza forma che attraversano le selve vagando. Viene spontaneo rivolgerci a loro, come genitori, educatori, come società pensante che si interroga su ciò che ha preso e su ciò che ha dato passando su questa terra. Non solo. Qui si fanno anche i conti con se stessi, giovani o adulti. Questa storia è un po’ la nostra insegna, il bu-sen, la svolta. Capita di incontrarla per caso, o di essere lì nel momento giusto, è la via, il cammino, talora la salvezza.